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Studiare il Dna per ridurre gli effetti collaterali dei farmaci

Dna

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«Conoscere la persona affetta dalla malattia è molto più importante che conoscere la malattia stessa».

Il concetto espresso da Ippocrate nel quarto secolo avanti Cristo vale anche per i farmaci dei nostri giorni. Soprattutto se si considera che le reazioni avverse ai medicinali – ovvero gli effetti indesiderati al trattamento – rappresentano uno dei maggiori problemi delle attuali terapie farmacologiche.

Colpiscono il 40 per cento dei pazienti sottoposti a trattamento farmacologico e rappresentano il 15 per cento della spesa ospedaliera nei Paesi OCSE.

Studiare il Dna per evitare le reazioni avverse ai farmaci

Le risposte individuali ai farmaci possano variare da un paziente all’altro e generare, in alcuni di loro, anche gravi effetti avversi. Questo dipende da varie cause come l’età, il sesso, la funzionalità degli organi, l’impiego concomitante di altri medicinali, l’assunzione di particolari cibi, l’alcol e il fumo. Ma non è tutto.

La ragione di queste differenze – ed è questa la novità – può risiedere anche nel nostro Dna. Diversi fattori determinano la suscettibilità individuale alle reazioni avverse, compresi alcuni geni coinvolti nel metabolismo dei farmaci.

Associazioni specifiche gene-farmaco che possono aumentare il rischio di reazioni avverse sono state documentate per oltre cento farmaci: tra cui analgesici, antitumorali, anticoagulanti, antidepressivi, antiepilettici, antipertensivi e antipsicotici.

Farmacogenetica: prospettive in diversi ambiti terapeutici

Da qui l’importanza della farmacogenetica come strumento in grado di dare un significativo contributo nel contrastare gli eventi avversi, dimostrata da uno studio pubblicato sulla rivista «The Lancet» e condotto da un gruppo di ricercatori di sette Paesi europei.

Nel lavoro è stata valutata l’utilità di test preventivi per un intero pannello di varianti genetiche attualmente associate a 39 farmaci, in modo da prescrivere il farmaco giusto al paziente giusto nella dose giusta. La ricerca ha coinvolto quasi settemila pazienti in cura per diverse malattie. La metà di loro è stata sottoposta a test per 50 varianti note in 12 geni.

Quando emergeva una variante associata a una reazione avversa, il loro piano terapeutico veniva modificato di conseguenza. L’altra metà del gruppo non ha ricevuto alcun test genetico e si è attenuta ai farmaci inizialmente consigliati. Il risultato è stato una riduzione del 30 per cento della frequenza delle reazioni avverse per il gruppo sottoposto al test.

«È molto più efficiente che testare un paziente per un singolo gene quando viene prescritto un farmaco specifico», ha affermato Henk-Jan Guchelaar, professore di farmacia clinica all’università di Leiden e coordinatore della ricerca, in un articolo rilanciato sulla rivista «Nature Italy».

Una prospettiva per ridurre gli effetti collaterali delle cure oncologiche

L’Istituto Nazionale dei Tumori di Aviano ha condotto la parte oncologica dello studio, arruolando più di 1.200 pazienti italiani.

«Per le terapie antitumorali, abbiamo dimostrato che questa strategia previene gravi effetti tossici che richiedono l’ospedalizzazione e persino reazioni fatali», ha spiegato Giuseppe Toffoli, direttore dell’unità di farmacologia sperimentale e clinica dell’ospedale oncologico friulano, che aveva già presentato i dati preliminari del lavoro nel corso dell’ultimo congresso della Società Italiana di Farmacologia.

Negli ultimi anni la farmacogenetica ha permesso di identificare numerosi farmaci che possono indurre risposte molto diverse fra le persone a seconda del loro Dna.

«Oggi i test di farmacogenetica sono entrati nella pratica clinica e costituiscono un prerequisito per trattare i pazienti – aggiunge Toffoli – È il caso, per esempio, delle terapie oncologiche con farmaci come il 5-fluorouracile per il quale si raccomanda di fare preventivamente un test specifico, al fine di escludere varianti genetiche responsabili di gravi tossicità».

Ma questi test sono ancora poco diffusi

Sempre attraverso «Nature Italy» sono giunti ulteriori chiarimenti, a riguardo. In Italia, i test su singole coppie gene-farmaco sono entrati recentemente nella pratica clinica. Soprattutto in ambito oncologico.

Ma sono disponibili soltanto in pochi laboratori. Anche a causa di ostacoli burocratici e culturali, che limitano ancora l’uso di questi test. Non è ancora chiaro, infatti, chi debba prescriverli. Quali laboratori siano autorizzati a eseguirli e chi debba validarli.

Serve insomma compiere degli ulteriori passi. Però la strada verso un’ulteriore personalizzazione delle cure – in ambito oncologico, ma non solo – è già tracciata.

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