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I 6 buoni propositi per il 2023

fuochi d'artificio

Indice

In questo periodo dell’anno, è lunga la lista dei buoni propositi che gli italiani compilano in vista del nuovo anno. Chi è ancora a casa – ma anche chi ha già ripreso a lavorare, in questi giorni di ritmi ancora ridotti – è alle prese con la lista degli obbiettivi da raggiungere nel 2023. Un anno che probabilmente segnerà la definitiva convivenza con la pandemia. E durante il quale dovremo dunque dare sostanza alle indicazioni che gli scienziati ci ripetono da tempo. Ovvero: immaginare una vita come quella condotta fino al 2019 non sarà probabilmente più possibile. Ma ciò non vuol dire che non si possano avere delle intenzioni di valore e raggiungibili, nonostante l’unicità del periodo storico che stiamo vivendo. Personalmente, anche io ho una serie di obiettivi che intendo presto raggiungere. E di cui avrò modo di parlavi presto, anche attraverso il mio blog.

In questo ultimo post dell’anno, però, ho preferito concentrarmi su quelle che sono a mio avviso le priorità che, tutti assieme, dovremmo cercare di concretizzare nell’anno che è alle porte. Obbiettivi che ricadono in ambito scientifico, ma che possono essere raggiunti grazie al contributo di tutti. Vediamoli, considerando comunque che si tratta di una lista di priorità, di fronte alla quale dobbiamo sempre ricordarci che le sfide attuali del nostro tempo non finiscono qui. E che il progresso scientifico ce ne porrà di fronte sempre di nuove.

Ridurre i consumi di carne

Sapete che, ormai da anni, la mia dieta è di tipo pescovegetariano. Non escludo l’apporto di proteine animali (che assumo attraverso il pesce e i formaggi), ma ho scelto di rinunciare alle carni e ai salumi. Una decisione che ha due ragioni, entrambe legate alla tutela della salute: dell’uomo come dell’ambiente. Sappiamo infatti che, nell’ambito di una dieta bilanciata, per ridurre il rischio di ammalarsi di cancro è importante limitare il consumo di carne, in particolar modo rossa (carni ovine, equine, suine e bovine, compreso il vitello). Il consiglio è di non superare i 500 grammi a settimana, secondo quanto suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Attenzione va posta anche al metodo di cottura: piuttosto che la brace, meglio preferire la cottura in forno o cotture a bassa temperatura. Particolare attenzione va rivolta nello specifico alle carni processate e lavorate (come i salumi e gli insaccati), che andrebbero eliminati dalla lista della spesa o comunque consumati occasionalmente (in una quantità non superiore ai 50 grammi a settimana, da includere nei 500 grammi complessivi). I fattori di rischio legati a queste ultime sono attribuibili anche al loro contenuto di grassi saturi, oltre che ai metodi di conservazione (salatura, affumicatura, conservanti, coloranti). Le persone che seguono una dieta ricca di carni rosse e lavorate, inoltre, hanno un maggior rischio di sviluppare anche altre malattie (legate soprattutto alla sfera cardiovascolare, all’obesità e al diabete).

Lotta all’inquinamento atmosferico

Negli ultimi anni abbiamo però imparato a conoscere anche quello che è l’impatto ambientale degli allevamenti. Nella zootecnia notevoli emissioni di metano derivano dalla fermentazione dei ruminanti, dal letame e dai liquami. Questo gas serra ha un potere alterante del clima che è venti volte superiore a quello della anidride carbonica e la lavorazione dei mangimi impatta per quasi la metà delle emissioni totali che provengono dagli allevamenti. L’obiettivo è tagliare fino al 30 per cento le emissioni di gas serra. Voce a cui occorre aggiungere la produzione e la trasformazione degli alimenti per gli animali, provenienti quasi sempre dagli allevamenti intensivi. Per ottenere un hamburger di manzo è necessario infatti consumare 2400 litri di acqua (impronta idrica), mentre ne bastano la metà per ottenere sei uova. Un chilo di pasta “nasconde” 1770 litri di acqua, una bistecca più del doppio (4650 litri). Numeri che danno vigore a una priorità: quella di ridurre i consumi di carne. Ne guadagneremo tutti: direttamente e attraverso un miglioramento dell’ambiente in cui viviamo. Obiettivo che, per essere raggiunto, necessita naturalmente di un complesso sistema di azioni che punti anche alla riduzione delle emissioni da parte delle industrie inquinanti, alla scelta di mezzi di trasporto diversi dall’auto e alla mitigazione delle temperature negli spazi chiusi (case, uffici, negozi).

Imparare a leggere le etichette alimentari

Il terzo proposito che mi auguro possa essere raggiunto da un numero sempre più ampio di italiani riguarda l’apprendimento della lettura delle etichette alimentari. Tutti i prodotti confezionati vengono venduti con quella che di fatto rappresenta la loro carta di identità. Nell’etichetta sono presenti tante informazioni. La denominazione, la durabilità del prodotto (espressa come data di scadenza o termine minimo di conservazione, oltre il quale una pietanza può ancora essere consumata senza rischi per la salute), l’elenco degli ingredienti, le condizioni di conservazione e uso, il paese d’origine, il nome o la ragione sociale dell’azienda, la lista degli allergeni (presentati in grassetto o con lettere maiuscole), l’origine della materia prima e la dichiarazione nutrizionale. Quanto alle carni, dal 2014 è obbligatorio riportare la loro provenienza, anche per quelle suineavicolecaprine e ovine. I consumatori europei hanno dunque a loro disposizione tutte le informazioni utili per effettuare una scelta consapevole dei prodotti: anche per quel che riguarda gli aspetti nutrizionali. Eppure da anni registriamo a più riprese gli allarmi della comunità scientifica relativi al crescente consumo di alimenti ultraprocessati nella dieta delle popolazioni occidentali. Una scelta che espone molti di noi al rischio di apportare sistematicamente quantitativi di sale, zuccheri semplici e grassi saturi oltre le soglie indicate dalle autorità sanitarie. Una violazione, se così si può dire, che finisce però per fare del male soltanto a noi stessi. Gli apporti eccessivi di questi macro e micronutrienti sappiamo essere concausa di diverse malattie croniche: dall’ipertensione all’obesità, fino a tutte le condizioni che da quest’ultima possono derivarne (tumori compresi). Ecco perché, oltre a prediligere quando possibile il consumo di alimenti freschi, il primo passo da compiere per migliorare la qualità della nostra dieta sta nell’attenzione da dedicare e nella comprensione della lettura delle etichette. Anche in questo caso, il nostro corpo ci ringrazierà.

Il recupero delle prestazioni in oncologia

Come detto, vivremo ancora settimane e mesi condizionati dalla pandemia. Un riflesso che in molti vedono per esempio sul piano economico o delle opportunità professionali. Meno, fortunatamente, su quello della salute. Ma è bene sapere che la qualità dell’assistenza sanitaria (mediamente elevata) che viene garantita ogni giorno negli ospedali italiani risente ancora molto dell’impatto che Covid-19 ha avuto sulla società. C’è un ambito della medicina particolarmente in affanno. E che, come sapete, mi sta particolarmente a cuore. È quello dell’oncologia. In molti casi, dovendo dare la priorità al contrasto al contagio da Sars-Cov-2, le attività di prevenzione e diagnosi precoce, oltre ad altre ritenute secondarie ma non tali (dal supporto psicologico a quello nutrizionale) sono saltate. Su tutte gli screening, fondamentali per arrivare a scoprire in tempo tumori largamente diffusi come lo sono quelli che colpiscono le donne al seno e al collo dell’utero e anche gli uomini al colon-retto. Queste ricadute hanno fatto salire la soglia di rischio per i tumori, dopo anni in cui si era riusciti progressivamente ad abbassare in maniera importante il tasso di mortalità sia tra gli uomini (-10 per cento) sia tra le donne (-8 per cento) rispetto al 2015. È urgente quindi ripristinare tempestivamente tutte quelle attività di ricerca, informazione e prevenzione che negli scorsi anni hanno consentito di ottenere risultati importanti nella lotta al cancro. Un impegno prioritario e indifferibile visto che il 40 per cento dei casi e il 50 per cento delle morti oncologiche possono essere evitati agendo su fattori di rischio prevenibili (in particolare sugli stili di vita).

Impariamo a convivere con Sars-CoV-2

Sappiamo con certezza che la pandemia da Sars-CoV-2 è ancora in atto. Non sappiamo, invece, per quanto altro tempo dovremo vivere con questa spada di Damocle sul campo. Che, come abbiamo visto, ha riflessi più o meno gravi sulla vita di tutti noi. Di conseguenza, a tre anni dall’inizio della diffusione di questo virus così subdolo a partire dal mercato ittico di Wuhan, non abbiamo alternative. Per evitare che i danni della pandemia diventino più rilevanti al di là di quello che è il solo rischio infettivo, dobbiamo imparare a convivere con questo patogeno. O meglio: a vivere, cercando un equilibrio tra la nostra libertà e la necessità di tutelare la salute (degli altri oltre che nostra). Sul piano del contagio, sappiamo ormai quali sono le mosse da compiere: mettersi al passo con la vaccinazione e continuare ad adottare alcune misure di prevenzione non farmacologica (igiene delle mani, distanziamento sociale, uso delle mascherine) nel momento in cui si è in luoghi affollati o comunque a contatto con persone fragili (genitori anziani, nonni). Ma convivere con il coronavirus vuol dire anche programmare le nostre attività cercando di non limitarci troppo a causa di un’emergenza sanitaria che – grazie alle contromosse adottate – non ha più la forza dei primi mesi. Poco alla volta abbiamo bisogno di riappropriarci della nostra normalità: anche in tempi di pandemia. Molti di noi hanno iniziato a farlo già nell’anno che si appresta alla conclusione. Lo spauracchio della variante Omicron ha però continuato a frenare una quota considerevole di persone.

Staccare la spina durante le vacanze

Oggi sappiamo che, salvo rari casi, infezioni e reinfezioni hanno quasi sempre un decorso meno grave rispetto a quello che si registrava nel 2020. Non dobbiamo dimenticarcelo, pur senza sottovalutare in alcun modo Sars-CoV-2. Ma ricordandoci anche che il benessere passa pure dallo stato di salute della nostra mente. E a questo riguardo, giungo all’ultimo proposito. Molti di voi saranno ancora in vacanza, nonostante il Natale sia alle spalle. Ecco, approfittiamo di questo tempo per ricaricare le batterie. Tutti, dai bambini agli anziani. Godiamoci i tempi lenti di queste giornate, facendo ciò che più ci fa sentire bene: per qualcuno lo sport, per altri la lettura o il teatro, per altri ancora una vacanza o più ore di sonno. Abbiamo dei doveri, ma anche dei diritti: tra cui quelli al riposo e alla felicità. Questi giorni ce lo ricordano in maniera più evidente. Evitiamo di fare in modo che dal 6 gennaio tutto torni come prima. E buon inizio d’anno a tutti.

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