Glovo. Deliveroo. Just Eat. Uber Eats. Alzi la mano chi non abbia usato nemmeno una volta una di queste applicazioni di food delivery, diffuse su larga scala a partire dalla prima ondata della pandemia grazie all’opportunità di surrogare (almeno in parte) la possibilità di mangiare al ristorante.
Uno strumento utile, su cui ormai si dibatte però anche circa il possibile impatto sulla salute.
Avere sempre a portata di mano la possibilità di ordinare una pizza, un sushi, un panino con l’hamburger o un piatto etnico è sì comodo, ma non è che possa rappresentare un rischio per la nostra linea?
Quale impatto dalle app di food delivery sulla salute?
Il rischio, in effetti, c’è. Lo ha evidenziato anche qualche studio preliminare condotto in questi anni. A correrlo sarebbero soprattutto magari per quelle persone che non amano cucinare o che, vivendo da sole, trovano più pratico appoggiarsi a questi strumenti per non avere il pensiero del pranzo o della cena da preparare.
Questa è la conseguenza più ovvia. E dunque pure la più immediata. Con il consolidarsi dell’abitudine all’uso delle piattaforme di food delivery, però, sta crescendo anche la consapevolezza che possano rappresentare (pure) un ausilio per compiere scelte salutari. Anche in ragione della loro diffusione, soprattutto tra i ragazzi e i giovani adulti.
Una conferma, in questo senso, giunge dai risultati di uno studio presentato nel corso del Congresso Europeo dell’Obesità e subito dopo pubblicato sull’International Journal of Behavioral Nutrition and Physical Activity.
Una serie di esperimenti condotti da un gruppo di ricercatori dell’Università di Oxford – a cui hanno preso parte in totale oltre 23.700 persone che utilizzano abitualmente le app – ha infatti dimostrato come con pochi accorgimenti a costo zero si possa guidare il consumatore verso la scelta di piatti o menù a ridotto apporto di chilocalorie.
Come aiutare i consumatori a mangiare meglio (anche attraverso il food delivery)
Come? Riducendo per esempio le porzioni rispetto a quelle standard. Una scelta, quella valutata della prima serie di esperimenti, che potrebbe permettere di tagliare dal 5 al 12 per cento dell’apporto calorico di una porzione standard.
La seconda strategia testata era invece basata sulla sostituzione di alcuni piatti con opzioni più sane all’interno dell’app. Una variazione apportata lo scopo di promuovere i ristoranti e i piatti più sani, senza avere effetti negativi sugli affari dei ristoratori. Anche in questo caso, i membri del gruppo di studio sono riusciti a “tagliare” anche del 15 per cento l’apporto energetico garantito dai piatti scelti attraverso la app (messi appositamente in cima alla lista) rispetto a quanto scelto da coloro che invece avevano selezionato i piatti dai menù distribuiti dagli stessi locali, ma ai clienti ospitati al proprio interno.
Nella discussione dello studio, sono stati riportati anche altri consigli per aiutare i consumatori a mangiare meglio. Cercando di ottimizzare la sintesi tra praticità e stile di vita salutare. A partire dall’indicazione delle calorie, che dovrebbe essere basata sul singolo pasto e non sul totale giornaliero dell’intera giornata.
La lotta ai chili di troppo passa anche (se non soprattutto) dal cibo pronto, di cui sempre più persone non riescono a fare a meno.