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La “bufala” della dieta del gruppo sanguigno

alimenti diversi disposti su una tavola

Indice

Possibile che avere il sangue del gruppo 0, A o B faccia differenza su ciò che dovremmo mangiare? Sì, secondo i fautori della dieta del gruppo sanguigno, un regime che ha fatto non pochi proseliti in tutto il mondo negli ultimi vent’anni. Peccato che le basi scientifiche per questa proposta alimentare siano praticamente inesistenti, come dimostrato a più riprese dalla comunità scientifica.

Dieta del gruppo sanguigno: di cosa si tratta?

Messa a punto nel 1957 dal naturopata statunitense James D’Adamo, e poi diffusa quasi trent’anni più tardi dal figlio Peter attraverso il libro “Eat Right 4 Your Type”, la dieta del gruppo sanguigno è un regime alimentare basato sull’idea che ci sia una stretta correlazione tra alimentazione e sistema immunitario, teorizza l’assunzione di cibi freschi, naturali e tradizionali. Il suo fine non è tanto quello di far perdere peso: bensì di migliorare la qualità della vita in modo semplice e naturale. La descrizione è riportata sul sito ufficiale, disponibile anche in italiano: “Come tutte le grandi intuizioni, l’emodieta si basa su un concetto molto semplice: le abitudini alimentari sono il fattore che influisce maggiormente sul sistema immunitario. Per stare bene è necessario individuare e modificare quelle che risultano dannose per il nostro organismo, ascoltandone i segnali con attenzione. Più che una dieta è un vero e proprio percorso per arrivare ad alimentarsi correttamente, dal quale tutti possono trarre beneficio: coloro che hanno bisogno di migliorare la propria salute, che vogliono dimagrire, gli atleti che desiderano migliorare le proprie prestazioni o, in generale, chi vuole prevenire e mantenere intatto il proprio benessere”.

Quale nesso tra la dieta e i gruppi sanguigni?

Il gruppo sanguigno è una caratteristica determinata geneticamente e i diversi tipi si differenziano per le glicoproteine presenti sui globuli rossi. Quando una ventina d’anni fa si scoprì che queste glicoproteine sono presenti anche su cellule dell’intestino e che l’attività di alcuni enzimi varia in base al gruppo sanguigno di appartenenza, D’Adamo ci costruì sopra un’ipotesi secondo cui il gruppo sanguigno sarebbe rivelatore delle abitudini alimentari dei nostri antenati, per cui mangiare in modo da evitare cibi poco digeribili perché “inconciliabili” con le glicoproteine presenti sulle nostre cellule sarebbe il modo migliore per ridurre il rischio cardiometabolico e restare sani più a lungo. Inoltre specifiche proteine che legano zuccheri presenti in alcuni cibi, le lectine, sarebbero responsabili di intolleranze e fastidi se non sono compatibili con il gruppo sanguigno.

Cosa mangiare (e cosa no) in base al gruppo sanguigno

L’ipotesi ha convinto parecchi e D’Adamo ha venduto oltre dieci milioni di copie in tutto il mondo del suo libro, in cui sono dispensati i consigli alimentari adatti a ciascuno.

  • Il gruppo 0, per esempio, sarebbe quello più ancestrale e “va d’accordo” con la dieta ad alto contenuto di proteine degli antenati cacciatori (mettendo al bando pane e pasta)
  • Il gruppo A, evolutosi con il passaggio all’agricoltura, richiederebbe un’alimentazione vegetariana
  • Il gruppo B delle tribù nomadi ha il via libera per i latticini
  • Il gruppo AB può seguire una dieta intermedia fra le due precedenti

In tutto questo, però, di prove scientifiche nemmeno l’ombra. L’ultima sintesi, in questo senso, risale al 2013. Una metanalisi – ovvero un compendio delle evidenze emerse da altri studi – pubblicata sull’“American Journal of Clinical Nutrition” arrivò alla conclusione che “non ci sono evidenze per riconoscere benefici per la salute alla dieta dei gruppi sanguigni”.

L’effetto diverso dipende dalla dieta (e non dal gruppo sanguigno)

Un messaggio che, per poggiare su solide fondamenta, avrebbe bisogno di un ampio studio controllato in cui, a persone con lo stesso gruppo sanguigno, vengano date diete differenti. E da lì, poi, valutare l’impatto sulla salute. Cosa che non è mai stata fatta. Tutte le ricerche effettuate in maniera retrospettiva, andando cioè a porre in relazione le abitudini alimentari dei partecipanti (quasi sempre dichiarate tramite questionari) con il gruppo sanguigno e lo stato di salute, sono giunti alla conclusione che il valore di alcuni biomarcatori può essere anche diverso. Ma a dettare questa diversità, non è la genetica dei gruppi sanguigni. Piuttosto è il tipo di alimentazione proposto a essere di per sé più o meno salutare: questo può spiegare perché vi siano persone che affermano di stare meglio seguendo la dieta del gruppo sanguigno. Tuttavia il modo in cui un individuo risponde a un’alimentazione vegetariana o a basso contenuto di carboidrati non ha nulla a che vedere con il gruppo sanguigno a cui appartiene, ma con la propria capacità di adattarsi a quello specifico regime dietetico.

Dieta del gruppo sanguigno: il rischio è quello di rinunciare a troppi alimenti essenziali

Una capacità che non dipende certo solo dal far parte del gruppo 0, A, B o AB. Il nostro corredo genetico influenza le risposte ai cibi. Tuttavia i fattori in gioco sono così tanti e talmente complessi – oltre che tuttora conosciuti solo in minima parte – che ridurre tutto a quattro grandi categorie che dipendono solo dal gruppo sanguigno è riduttivo e potenzialmente sbagliato. Soprattutto perché la dieta in questione in alcuni casi “taglia” interi gruppi di alimenti e può perciò provocare squilibri nutrizionali.

Per saperne di più:

Blood type diets lack supporting evidence: a systematic review, The American Journal of Clinical Nutrition

Blood Type Is Not Associated with Changes in Cardiometabolic Outcomes in Response to a Plant-Based Dietary Intervention, Journal of the Academy of Nutrition and Dietetics

Alimentazione e salute, il manuale di Fondazione Umberto Veronesi

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